giovedì 19 marzo 2015

Non sei riuscita a cambiarmi

Non ricordo esattamente l'anno, di sicuro intorno alla metà dei Settanta. Ero un bambino allora. Mio padre mi portò con sé una sera a Pordenone a vedere un concerto di Fabrizio De André. Ricordo un capannone che allora mi parve immenso con lui e la band su un palco appena rialzato dal suolo. E un fumo talmente denso che per tutto il concerto mi bruciarono gli occhi.

Ad un certo punto, dal pubblico, che allora dialogava con chi stava sul palco, uno chiese a De André di suonare "Il bombarolo". Lui ci pensò solo un secondo, poi disse: "Quella canzone da sola non ha senso, è parte di un concept album, quindi se volete vi canto l'intero disco".
Boato del pubblico. E via con nove canzoni in più rispetto a quelle previste in scaletta.

Fu in quell'occasione che ascoltai per la prima volta "Verranno a chiederti del nostro amore".


Digli pure che il potere io l'ho scagliato dalle mani 
dove l'amore non era adulto e ti lasciavo graffi sui seni 


per ritornare dopo l'amore 
alle carezze dell'amore 
era facile ormai 

non sei riuscita a cambiarmi 
non ti ho cambiata lo sai. 

Il testo mi è tornato in mente quando qualche giorno fa ho trovato la frase che adesso campeggia sull'header di questo blog: "Gli unici uomini di potere che ho conosciuto sono quelli che si sono chinati per raccoglierlo". Frase quanto mai vera. Nessuno, almeno tra gli uomini "di potere" che ho conosciuto personalmente, per raggiungerlo non ha dovuto piegare la schiena e inchinarsi a leccare il culo di chi lo deteneva prima di lui. In attesa del proprio turno. Che poi, certo, alla fine è arrivato. Grande o piccolo che sia. Perché il potere è prima di tutto una condizione dello spirito.

Inizialmente ho pensato che la mia mancata "condizione dello spirito" sia dovuta agli anni in cui mi sono formato, i Settanta. Per dire, da ragazzino qualcuno aveva affittato sotto casa mia un negozio in cui metteva a disposizione di chi entrava materiali - libri, opuscoli, manifesti - sull'esperienza di Salvador Allende in Cile e il successivo golpe di Augusto Pinochet. Oggi ho un negozio che vende cellulari. 

Ma poi no, ho capito che non è vero. Che non c'entra niente. Che molta gente formatasi negli anni Settanta - molto più di quanto teoricamente abbia potuto farlo io che, anagraficamente, dovrei considerare come "anni di formazione" gli Ottanta - ha scelto tranquillamente di non scagliare il potere dalle mani, ma di provare (riuscendoci benissimo) a raccoglierlo.

L'arte della sconfitta è un'abilità tipica dell'hombre vertical, uno che ce l'ha nel sangue: una certezza quasi matematica. Un po' come Hector Cuper, ex allenatore dell'Inter. Un maestro in materia. Con, in più, la tragica grandezza di essere riuscito a macchiare perfino l'unica cosa che nessuno gli aveva mai negato: la dignità.

Un'epopea, la sua, che raggiunge quasi la perfezione. 


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